Negli ultimi mesi si è alzato il livello di allerta globale nei confronti dell’influenza aviaria da virus H5N1. Questo tipo di virus influenzale è noto dal 1996, quando è stato individuato in un allevamento di oche in Cina. Il sito d’informazione sanitaria dottoremaeveroche.it traccia una panoramica della situazione attuale.
Un articolo di Roberta Villa
Solo da una ventina d’anni il virus H5N1 ha acquisito caratteristiche di aggressività clinica negli animali per cui è stato incluso tra i virus influenzali ad alta patogenicità (HPAI), quelli che provocano grandi e diffuse epidemie tra gli uccelli selvatici e da allevamento [1].
Nel 2004, infatti, emerse il genotipo Z, che determinò una vastissima epidemia con una letalità che sfiorava nei polli il 100%. Dagli allevamenti di pollame del sud est asiatico, soprattutto in Thailandia e Vietnam, si diffuse fino in Indonesia, Cina, Sud Corea e Giappone e passò ad altri tipi di uccelli acquatici, selvatici e da cortile. Portato dagli uccelli migratori, si diffuse in tutto il mondo [2].
Dottore, il virus dell’influenza aviaria può infettare gli esseri umani?
Già da allora si segnalarono i primi casi negli esseri umani, ma solo in persone che vivevano in contesti rurali a stretto contatto con gli animali da cortile, in condizioni igieniche precarie. Più della metà di loro ha perso la vita per gravi polmoniti emorragiche o che provocavano comunque gravi danni alla respirazione, anche se è possibile che casi meno gravi non siano stati riconosciuti.
In tal caso la letalità sarebbe inferiore al 50% di vittime attribuita a questa malattia, ma anche così un’eventuale pandemia da influenza aviaria H5N1 negli esseri umani potrebbe comunque avere un impatto molto maggiore rispetto a quello causato da Covid-19. Per questo, per non farsi trovare impreparati, da quasi vent’anni si studia l’aviaria come possibile fonte di minaccia pandemica.
L’aviaria ha un impatto economico?
Il fatto che fino a poco tempo fa il virus influenzale H5N1 non sembrasse in grado di infettare le alte vie aeree dei mammiferi e non riuscisse quindi a trasmettersi tra di loro con altrettanta facilità che negli uccelli teneva l’aviaria tra le possibili, ma non imminenti, cause di pandemia.
Era già comunque sotto stretta osservazione, oltre che per la sua potenzialità pandemica, anche per il peso economico e sociale di ogni epidemia nel pollame, che portava alla morte di milioni di animali mettendo in difficoltà le popolazioni che da questi dipendono in larga parte per il loro reddito o apporto proteico.
Da quando, nel 2020, la circolazione del virus ha avuto un’accelerazione e l’aviaria si è diffusa negli allevamenti di tutto il mondo provocando la morte di almeno 150 milioni di polli, le conseguenze economiche sono state gravissime anche su mercati collegati a quelli della carne: per esempio il costo delle uova negli Stati Uniti a dicembre era più che raddoppiato rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, forse anche grazie a qualche speculatore che ha cercato di trarre profitto dal momento di grave crisi del settore [3].
Negli ultimi anni il virus dell’influenza aviaria è mutato?
Abbiamo imparato durante la pandemia che, quando emerge una variante o una ricombinante virale più efficiente nel riprodursi e trasmettersi tra individui a scapito delle altre, questa tende a prendere il sopravvento e a diffondersi a tutti gli individui suscettibili con cui viene a contatto.
È quello che pare sia accaduto in Olanda nel 2020, quando è comparsa la variante 2.3.4.4b del virus H5N1. Il mondo aveva gli occhi puntati sul nuovo coronavirus che portava in terapia intensiva le persone, per cui prestava poca attenzione a quanto rapidamente e con quale estensione il virus dell’aviaria H5N1 stava uccidendo uccelli selvatici e, come si diceva sopra, stava mettendo in ginocchio l’industria avicola, prima in Europa e poi America [4]. Sebbene si parli tanto di “one health”, di una salute unica e circolare che deve coinvolgere umani, animali e ambiente, la scala delle priorità purtroppo ci porta sempre a mettere in secondo piano quel che non ci riguarda strettamente da vicino.
Il cambiamento più preoccupante portato dalla nuova variante sembra essere tuttavia quello che ha reso il virus capace di trasmettersi ai mammiferi. Il salto di specie noto come “spillover” deve essersi verificato più volte e in varie parti del mondo, perché nel corso degli ultimi mesi sono stati individuati casi di influenza da virus H5N1 in molti animali terrestri come volpi, gatti, furetti e in cetacei come delfini e leoni marini nei diversi continenti. Negli orsi bruni e nelle foche l’infezione ha provocato anche sintomi di tipo neurologico. I casi sono così distanti tra loro da non potersi essere contagiati a vicenda, ma tutti probabilmente hanno contratto il virus da uccelli selvatici ancora asintomatici, malati o morti [5]. Si sono verificati casi anche tra gli esseri umani, ma con un numero di morti inferiore alle attese, il che fa sperare in una ridotta letalità di questa nuova variante rispetto al 50% o più riportato in letteratura.
Dottore, ma dobbiamo preoccuparci di una possibile pandemia da influenza aviaria?
Ad alzare il livello di allerta sono state quindi prima le conferme di infezione nei mammiferi in varie parti del mondo, ma più recentemente soprattutto la segnalazione di un’epidemia di influenza aviaria H5N1 in un allevamento di visoni da pelliccia nella regione spagnola della Galizia, che ha portato all’abbattimento di oltre 50.000 capi [6]. Non è ancora stato confermato se gli animali siano stati infettati da uccelli selvatici, ma è un’ipotesi da non scartare dal momento che le gabbie in cui erano tenuti erano parzialmente all’aperto, e nelle settimane precedenti erano stati trovati sulla vicina costa pellicani e gabbiani malati o morti a causa dell’infezione. In ogni caso, per la prima volta, sembra che il virus abbia acquisito mutazioni che lo rendono capace di trasmettersi con facilità tra mammiferi, cosa che fino a oggi non era mai riuscito a fare [7].
Per questo, come ha precisato il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella conferenza stampa dell’8 febbraio, rilanciata dai media di tutto il mondo, il rischio per gli esseri umani al momento è basso, ma non si può garantire che resti tale [1]. La ricerca su questo virus, effettuata fin dai primi anni del Duemila, ha infatti dimostrato che per acquisire la capacità di diffondersi facilmente tra mammiferi bastano poche mutazioni, per cui, pur senza lanciare allarmi o diffondere paura, sarebbe comunque opportuno fare il possibile per non farsi trovare impreparati.
Dottore, come ci si sta preparando a un’eventuale pandemia provocata dal virus dell’influenza aviaria?
Occorre quindi che i governi rinforzino la sorveglianza in tutti i contesti in cui gli esseri umani vengono a contatto con animali selvatici o da allevamento, mentre ai cittadini si raccomanda di non avvicinarsi né tanto meno toccare eventuali uccelli morti o pollame sofferente nel cortile di casa, ma di segnalarne nel caso la presenza alle autorità competenti. Nessun timore invece, almeno per il momento, ad acquistare prodotti avicoli, data l’intensità e il rigore dei controlli veterinari effettuati nelle aziende.
Per il momento, è bene ripeterlo, non è ancora stata dimostrata la capacità di questo virus di trasmettersi tra gli esseri umani, e i casi segnalati nella nostra specie sono del tutto sporadici.
L’OMS sta già facendo una ricognizione con le aziende produttrici per verificare se, qualora si rendesse necessario, esiste la possibilità di ottenere rapidamente antivirali e soprattutto vaccini, su cui si lavora fin dai primi allarmi del 2004, e che sono in parte già autorizzati dalle agenzie regolatorie. Per avviarne la produzione occorrerebbe tuttavia fare i conti con il fatto che, come la maggior parte dei vaccini antinfluenzali, anche tutti questi, tranne uno, prevedono una fase di coltivazione nelle uova di gallina, resa ardua proprio dall’epidemia aviaria in sé.
Un’alternativa potrebbe venire da nuovi vaccini a mRNA, come quelli prodotti a tempo di record contro SARS-CoV-2, che ora potrebbero arrivare anche più rapidamente.
Bibliografia
- 1 . World Health Organization. “WHO press conference on global health issues – 8 February 2023”. Pubblicato l’8 febbraio 2023
- 2 . Kupferschmidt K. “‘Incredibly concerning’: Bird flu outbreak at Spanish mink farm triggers pandemic fears”. Science, 24 gennaio 2023
- 3 . Popli N. “Your Egg Prices Could Be So High Because of Price Gouging, Farm Group Says”. Time, 20 gennaio 2023
- 4 . Stokstad E. “‘We’re nervous.’ Deadly bird flu may be in North America to stay”. Science, 23 agosto 2022
- 5 . Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. “Che cos’è lo spillover? ”. Pubblicato il 27 gennaio 2021
- 6 . Aguero M, Monne I, Sanchez A. “Highly pathogenic avian influenza A(H5N1) virus infection in farmed minks, Spain, October 2022”. Euro Surveill 2023 Jan;28(3):2300001
- 7 . Abbasi J. “Bird Flu Has Begun to Spread in Mammals—Here’s What’s Important to Know”. JAMA (2023)
Autrice
Roberta Villa è giornalista pubblicista laureata in medicina, ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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