Le abitudini alimentari si formano in famiglia e si riflettono nell’età adulta. Oltre all’essenziale funzione del nutrimento per l’organismo, il cibo è un elemento di condivisione, educazione, crescita emotiva. Di più: l’alimentazione è uno dei primi mezzi di interazione fra genitori e figli, fin dall’allattamento. Il rapporto con il cibo, insomma, è solo per pochi un’esperienza legata esclusivamente al nutrimento. Ne parla il sito d’informazione medico-sanitaria dottoremaeveroche.it.
Un articolo di Maria Frega (Pensiero Scientifico Editore)
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In psicologia sono stati individuati modelli di comportamento alimentare che, trasmessi nell’infanzia, possono perdurare per anni e influenzare anche altri aspetti della vita: il rapporto con il proprio corpo, la socialità, il benessere mentale. Uno studio recente ha sintetizzato le esperienze familiari a tavola in quattro modelli di alimentazione: conoscerli può aiutare a ridurre il rischio di patologie difficili da combattere, come l’obesità e i disturbi del comportamento alimentare.
Dottore, esistono specifici modelli alimentari nocivi?
La ricerca psicologica da tempo prova a classificare gli stili alimentari familiari per individuare comportamenti corretti e scorretti. Un team di ricerca britannico formato da psicologi ed esperti del neurosviluppo ha seguito nel tempo circa mille bambini di età compresa fra i 3 e i 6 anni. Grazie ai loro genitori, che hanno fornito informazioni sulla dieta seguita a casa, sono stati individuati quattro comportamenti alimentari:
• profilo tipico, caratterizzato da un comportamento a tavola equilibrato, razionale;
• avido, che comporta il rischio di ridotta sazietà ed è correlato alla tendenza a prendere peso;
• emotivo, nel quale il cibo è un modo per regolare le emozioni (l’irrequietezza, per esempio), al di là del senso di fame o di sazietà;
• evitante, cioè guidato dalla selettività e dall’incapacità di apprezzare ciò che si mangia.
Secondo lo studio, i genitori con un determinato profilo tendono a trasmettere le stesse modalità ai figli. Questa correlazione è particolarmente forte negli stili meno equilibrati, come il comportamento avido e quello evitante.
Non si tratta solo di metodi educativi ma anche di scelte: i profili più dannosi infatti sono stati associati a una scarsa disponibilità di cibo sano in casa. Inoltre, i comportamenti avidi ed emotivi, studiati nel tempo, hanno permesso di riscontrare casi di sovrappeso e obesità più frequenti [1].
Ci sono prove scientifiche a supporto di questi studi di psicologia?
Da tempo sappiamo che il rapporto con il cibo si struttura nel corso dei primi anni di vita. Si tratta di un processo che ha inizio anche in fase prenatale: sono cruciali i primi mille giorni, cioè dal concepimento al compimento di due anni di età. Secondo l’Accademia Americana di Pediatria, l’obesità, il rischio di diabete e l’ipertensione possono avere origine proprio dallo stile nutrizionale appreso nell’infanzia. Non solo: se la mamma è in sovrappeso questi rischi aumentano [2]. Allattare al seno, per esempio, influenza il modo in cui il neonato reagisce ai segnali di fame e sazietà e aiuta l’autoregolazione e l’accettazione di alimenti diversi negli anni successivi [3].
Il bambino impara osservando e imitando gli adulti e forma i suoi giudizi, positivi o negativi, giorno per giorno, in questo modo. Ogni famiglia, dunque, dovrebbe avere disponibilità di un’ampia scelta di alimenti sani con i quali comporre una dieta variata e stimolante, evitando di ricorrere a imposizioni o di utilizzare il cibo come ricompensa o punizione. Allo stesso modo, negare completamente alcuni alimenti ricchi di zuccheri e grassi è controproducente: i cibi proibiti diventeranno i più allettanti [4].
Quali sono, in pratica, le abitudini scorrette trasmesse dai genitori?
Una revisione di diversi studi ha individuato alcune modalità con le quali in famiglia si influenza il comportamento alimentare dei figli. Per esempio, l’eccessiva pressione su bambini svogliati crea emozioni negative che portano al rifiuto.
È inoltre importante che i genitori siano presenti a tavola: questa regolarità impedisce di saltare i pasti e aiuta il consumo di alimenti sani e di porzioni equilibrate. Particolarmente importante è il momento della colazione che, più di altri pasti, tende a essere saltata per mancanza di tempo o di appetito [5]. In Italia un bambino su dieci non fa colazione e uno su tre segue una dieta sbilanciata al mattino, con la conseguenza di arrivare al pranzo affamati o di ricorrere a merende povere di nutrienti sani. È invece fondamentale condividere questo momento fin dalla preparazione del pasto. I benefici non ricadono solo sulla salute dell’organismo ma anche sulle capacità cognitive, sull’apprendimento [4,6].
Come si può risolvere il rifiuto di mangiare cibi sani, come frutta e verdura?
In generale, funzionano i modelli nei quali i genitori propongono l’approccio “fai come faccio io” e non “fai come dico io” [5].
Il comportamento evitante è molto frequente, interessa circa il 20-30% dei bambini. Fin dallo svezzamento occorre introdurre progressivamente nuovi alimenti. L’esposizione precoce, non forzata, a frutta, verdure, fibre abitua il bambino ad apprezzare i sapori diversi, associando il gusto e i benefici sull’organismo a emozioni positive che dureranno nel tempo [4,7].
Occorre inoltre variare le proposte a tavola, senza insistere troppo con alimenti che il bambino ha più volte rifiutato; la dieta monotona può portare a carenze nutrizionali. E incoraggiare il bambino a consumare i pasti della mensa scolastica che garantisce varietà, equilibrio in un ambiente condiviso con i propri compagni [3].
Osservare i comportamenti dei bambini a tavola, poi, può rendere evidenti altri tipi di difficoltà e disagi [7]. I fattori di rischio connessi alle cattive abitudini alimentari (sovrappeso, obesità, ipertensione, diabete, per esempio), sono modificabili ed è importante agire sin dall’infanzia: cambiare il comportamento alimentare da adulti o in presenza di disturbi dell’alimentazione è molto più difficile [8].
Bibliografia
- 1 . Pickard A, Farrow C, Haycraft E, et al. “Associations between parent and child latent eating profiles and the role of parental feeding practices”. Appetite 2024 Oct 1;201:107589
- 2 . Schwarzenberg SJ, Georgieff MK; Committee on nutrition. “Advocacy for Improving Nutrition in the First 1000 Days to Support Childhood Development and Adult Health”. Pediatrics. 2018 Feb;141(2):e20173716
- 3 . Birch L, Savage JS, Ventura A. “Influences on the Development of Children’s Eating Behaviours: From Infancy to Adolescence”. Can J Diet Pract Res. 2007;68(1):s1-s56
- 4 . Centro di ricerca alimenti e nutrizione. “Linee Guida per una alimentazione sana. Pubblicato a novembre 2019
- 5 . Mahmood L, Flores-Barrantes P, Moreno LA, et al. “The Influence of Parental Dietary Behaviors and Practices on Children’s Eating Habits”. Nutrients 2021 Mar 30;13(4):1138
- 6 . Istituto Superiore di Sanità. “I bambini e la colazione”. Ultimo accesso: 24 settembre 2024
- 7 . Ospedale Pediatrico Bambin Gesù. “Alimentazione, abitudini e problemi di bambini e ragazzi”. Ultimo Aggiornamento: 24 marzo 2023
- 8 . Rodgers RF, Paxton SJ, Massey R, et al. “Maternal feeding practices predict weight gain and obesogenic eating behaviors in young children: a prospective study”. Int J Behav Nutr Phys Act 2013 Feb 18;10:24
Autrice
Maria Frega è sociologa, specializzata in comunicazione, e scrittrice. Si occupa di scienza, innovazione e sostenibilità per un’agenzia di stampa e altri media. Sugli stessi temi cura contenuti per testi scolastici e organizza eventi di divulgazione con associazioni ed enti pubblici. È inoltre editor di saggistica e tiene corsi di scrittura anche nelle scuole e in carcere. Tutti gli articoli di Maria Frega (Pensiero Scientifico Editore)
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