Usate regolarmente il filo interdentale? Applicate la protezione solare prima di esporvi al sole? Indossate la mascherina coprendo naso e bocca? Quando i ricercatori formulano queste domande nei loro esperimenti su prevenzione e differenze di genere, di solito annuiscono più donne che uomini.
E i risultati ottenuti in laboratorio sembrano confermare una credenza generale: le donne sono più attente alla cura del corpo, si dice, si sentono più responsabili del proprio benessere e di quello degli altri, adottano stili di vita più salutari e si rivolgono al medico più spesso degli uomini. Insomma, in fatto di prevenzione le donne sarebbero un passo avanti. Ma è davvero così?
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Di Sara Mohammad (Pensiero Scientifico Editore)
Cosa dice la letteratura scientifica al riguardo?
Molte delle ricerche che si sono occupate di questo tema hanno riscontrato che effettivamente le donne sono più consapevoli e meglio informate sui temi legati alla prevenzione, e in generale è più facile che abbiano abitudini e stili di vita che proteggono dal rischio di ammalarsi. Secondo una revisione sistematica pubblicata nel 2017 sulla rivista scientifica Journal of Public Health, le donne sono più attive degli uomini nella ricerca di informazioni su stile di vita e salute, si ricordano di utilizzare la crema solare, prestano maggiore attenzione ai sintomi che potrebbero essere precoci campanelli d’allarme di una malattia, consultano il medico con maggiore frequenza, tendono a vaccinarsi di più e curano con più assiduità l’igiene dentale [1]. Nel complesso i risultati di queste ricerche confermano che da parte delle donne l’attenzione per la salute e la prevenzione delle malattie è più alta.
Dottore, perché le donne sarebbero più attente alla salute?
Alla base di questo comportamento ci sono soprattutto fattori culturali. “Il motivo per cui tendenzialmente le donne sono più attente alla prevenzione e più spaventate dai rischi di salute è che, specialmente nella nostra cultura, la donna interiorizza l’idea di essere più fragile e anche di essere colei che si prende cura degli altri significativi nelle sue relazioni”, spiega a Dottore ma è vero che? Guendalina Graffigna, professoressa di Psicologia dei consumi e della salute all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttrice del Centro di ricerca universitario EngageMinds Hub.
Nell’immaginario comune la donna viene spesso percepita come più debole, più vulnerabile e più bisognosa di cure rispetto all’uomo. Una delle conseguenze di questa narrativa è dare per scontato che la cura della salute sia un dovere intrinsecamente femminile: per questo è facile pensare che le donne siano naturalmente più interessate degli uomini alla prevenzione, più consapevoli dei comportamenti che mettono a rischio il benessere psicofisico e più motivate a cambiare abitudini e stili di vita poco sani.
E gli uomini?
“L’altra faccia della medaglia è che, così come la donna interiorizza questo modello culturale, per conformarsi a uno stereotipo opposto l’uomo a tende a stigmatizzare i comportamenti preventivi”, prosegue Graffigna. Seguire un’alimentazione bilanciata, prestare attenzione ai sintomi precoci di una malattia o recarsi dal medico per controlli periodici sono segnali che contrastano con il luogo comune del “vero” maschio: se le donne sono fragili e devono prendersi cura di sé stesse, gli uomini hanno una soglia di sopportazione del dolore maggiore e un fisico più robusto e possono tranquillamente fare a meno dell’aiuto degli altri, medico compreso.
In sostanza, come dimostrato in buona parte della letteratura sul tema, anche l’idea di mascolinità influenza moltissimo l’approccio dei generi alla prevenzione: proprio perché gli uomini devono adeguarsi a un preciso stereotipo culturale, sono più restii delle donne a chiamare il medico quando si accorgono che qualcosa non va (in particolar modo se i motivi di preoccupazione hanno a che fare con la salute mentale) e, quando prendono questa decisione, spesso lo fanno su suggerimento di una donna [2,3,4].
Dottore, ma è sempre così?
Dopo aver analizzato il numero di volte in cui pazienti di diverse età si sono recati dal medico nell’arco di un anno, uno studio inglese ha rivelato che queste differenze sembrano diminuire tra gli over 60: se è vero che le donne tendono a consultare il proprio dottore in media più spesso degli uomini (specie fra i 20 e i 40 anni, in parte per motivi legati alla salute riproduttiva), è anche vero che a partire da una certa età persone di entrambi i generi dichiarano di andare dal medico con la stessa frequenza [5].
“Quello che cambia”, sostiene Graffigna, “è che l’età aumenta le esperienze concrete che avvicinano le persone alle malattie e alla vulnerabilità”. Da giovani si tende a negare la morte e ci si sente invulnerabili, motivo per cui in gioventù non solo si va meno spesso dal medico ma si è più inclini a prendere decisioni che mettono a rischio la salute (come il rifiuto delle precauzioni che proteggono dalle malattie a trasmissione sessuale) e, a volte, la vita (come la scelta di guidare dopo un bicchiere di troppo). Da anziani, invece, la percezione di vulnerabilità tipica dell’età che avanza e talvolta la presenza di comorbilità aumentano per tutti, uomini e donne, la necessità di recarsi dal medico, di condurre uno stile di vita sano e di effettuare controlli medici periodici con frequenza maggiore. “La minore potenza fisica dell’età matura appiattisce le differenze culturali e antropologiche che ci possono essere tra maschi e femmine”, sottolinea ancora Graffigna, “differenze che per l’appunto sono più marcate fra i giovani, insieme al pregiudizio dell’invulnerabilità”.
Come far cambiare idea sulla prevenzione agli uomini?
Questa è una bella domanda. Secondo un editoriale pubblicato qualche anno fa sulla rivista Bulletin of the World Health Organization, è necessario intervenire con politiche attive a tre diversi livelli:
- in ambito educativo, per combattere gli stereotipi alla base dell’idea di mascolinità
- sul posto di lavoro, per promuovere il benessere nel luogo dove spesso gli uomini trascorrono gran parte della giornata
- nella sanità pubblica, con strategie di promozione della salute destinate prima di tutto a uomini provenienti da minoranze e comunità marginalizzate [6]
Ma quello che davvero sarebbe necessario è attribuire un altro significato culturale al concetto di prevenzione. “Laddove alla prevenzione oggi è legato un senso di debolezza e di vulnerabilità è necessario, anche attraverso strategie di marketing sociale, valorizzare l’atto di prevenzione come atto di potere, atto di controllo e atto di dominanza sul fattore di rischio”, conclude Graffigna. “In tal senso la psicologia dei consumi e della salute può essere d’aiuto sia per comprendere i motivi profondi della non aderenza alla prevenzione sia per orientare campagne capaci di parlare al cuore delle persone e non solo alla loro ragione”.
Di Sara Mohammad (Pensiero Scientifico Editore) I 21 Aprile 2021
Sara Mohammad ha conseguito un master in Comunicazione della Scienza presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. Si occupa principalmente di ricerca, neuroscienze e salute mentale. Scrive su MIND, LeScienze, Rivista Micron, Il Tascabile, e collabora con Mondadori Education e Il Pensiero Scientifico Editore. Oltre a lavorare nell’ambito della comunicazione scientifica, insegna scienze alle scuole superiori.
Bibliografia
- Hiller J, Schatz K, Drexler H, “Gender influence on health and risk behavior in primary prevention: a systematic preview”. Journal of Public Health. 2017; 25: 339-349
- Galdas PM, Cheater F, Marshall P, “Men and health help-seeking behaviour: literature review. Journal of Advanced Nursing. 2005; 49(6): 616-23
- Seidler ZE, Dawes AJ, Rice SM, et al. “The role of masculinity in men’s help-seeking for depression: A systematic review. Clinical Psychology Review. 2016; 49: 106-118
- Norcross WA, Ramirez C, Palinkas LA, “The influence of women on the health care-seeking behavior of men. The Journal of Family Practice. 1996; 43(5): 475-80
- Wang Y, Hunt K, Nazareth I, et al. “Do men consult less than women? An analysis of routinely collected UK general practice data. British Medical Journal Open 2013; 3: e003320
- Baker P, Dworkin SL, Tong S, et al. “The men’s health gap: men must be included in the global health equity agenda”. Bulletin of the World Health Organization. 2014; 92(8): 618-20