La pandemia da Covid-19 ha cambiato in modo fondamentale la vita quotidiana degli ospiti delle case di riposo in Alto Adige. Le misure adottate per la protezione dal Coronavirus hanno sospeso in larga misura pratiche abituali, flussi lavorativi, strutture quotidiane, modelli relazionali e anche molteplici valori fondamentali dell’assistenza orientata ai bisogni del residente e dell’accompagnamento alla morte.
L’Istituto di Medicina Generale della Claudiana ha condotto sotto la direzione della ricercatrice Dr.rer.biol.hum Barbara Plagg e in collaborazione con il Forum Prevenzione lo studio qualitativo “Residenze per anziani in isolamento”. I risultati dello studio sono stati presentati il 16 aprile 2021.
„Io devo dire che il cambiamento più grande è più grave – tra parentesi – è stata la chiusura delle case di riposo.“ (Medico di Medicina Generale)
Dopo che una pubblicazione scientifica dell’Istituto già a maggio 2020 aveva messo in evidenza il dilemma fra medicina preventiva ed etica nelle residenze per anziani in isolamento, si è resa necessaria un’indagine qualitativa come dichiarato dal Prof. Klaus Eisendle, Presidente della Claudiana. Tra settembre e ottobre 2020 sono state effettuate 45 interviste a responsabili medici di residenze per anziani, operatori sanitari, ai residenti e ai familiari. Complessivamente sono state raccolte per l’analisi dei dati 637 pagine di interviste anonimizzate.
Risultati dello studio
Le interviste dimostrano che gli anziani delle case di riposo hanno fatto ricorso a comprovate strategie in particolar modo risalenti alla loro infanzia piena di privazioni, per sopportare l’ isolamento. “Ciò nonostante molti residenti non hanno tollerato l’isolamento e già dopo le prime settimane di lockdown si sono rese evidenti conseguenze sociali, cognitive, psichiche e fisiche”, dice la responsabile dello studio Dr.ssa Barbara Plagg. Lo studio dimostra che mentre in virtù delle misure adottate le infezioni nelle residenze per anziani sono diminuite, sono invece aumentate le patologie di natura non infettiva. La mancanza di stimoli ha causato negli ospiti un progressivo degrado linguistico, mentale e motorio.
„Dopo tre-quattro settimane che ci vedeva due volte […] abbiamo notato che lui non diceva più una parola. […] Adesso invece negli ultimi tempi, anzi riusciamo anche quasi – non dico fare un discorso, però lo vedi che si vuole sforzare a dire le cose. Chiaramente la vicinanza dei familiari.“ (Familiare)
Oltre ad un aumentato disorientamento, un’incremento di stati apatici e confusionali ed di cadute per mancata mobilizzazione, è stato riferito anche un aumento di depressioni, psicosi, disturbi d’ansia, inappetenza e disturbi del sonno che in parte andavano di pari passo con un aumento di farmaci al bisogno. La Dr.ssa Plagg osserva inoltre che in generale le varie strutture hanno applicato procedure diverse. “Abbiamo riscontrato situazioni diverse” osserva la Dr.ssa Plagg” ma una cosa ha comunato tutti gli operatori: pesanti conflitti di coscienza e il timore di non comportarsi correttamente nel dilemma tra misure di protezione contro l’infezione, i principi etici dell’assistenza, possibili conseguenze di natura penale e la responsabilità verso la salute degli ospiti.”
„Io sono una, che lo ha affrontata per il momento, a parte lo sconforto iniziale del papà, le prime due-tre settimane è stato un po’ uno sconforto, perché preoccupata che lui pensa che noi l’abbiamo abbandonato. Questo mi aveva un po’ destabilizzato e sono andata un po’ in crisi.“ (Familiare)
“I gruppi intervistati sembravano gestire meglio lo stato di emergenza, se nelle posizioni responsabili delle residenze si era potuto trovare una condotta etica condivisa” dice il Dr. Peter Koler del Forum Prevenzione. Questo sembrava funzionare meglio se nell’applicazione vigeva una certa autonomia delle residenze con meno direttive ma accentrate e formulate con chiarezza. Il quadro legislativo veniva rispettato adottando soluzioni individuali e regole interne in funzione delle caratteristiche della propria struttura (p. e. visita al residente in punto di morte con dispositivi protettivi individuali). Comunque in questo periodo si sono riscontrate anche dinamiche positive per alcune residenze come per esempio che si è intensificata la comunicazione nel team. Il personale sanitario si dimostrava fortemente motivato e disponibile, medici di famiglia facevano molte ore straordinarie e anche provvedimenti da tempo richiesti come la digitalizzazione sono stati portati avanti.
„Avremo avuto bisogno di più chiarezza da parte dalla provincia, dal sistema sanitario alto atesino, su procedure burocratiche.“ (Medico di Medicina Generale)
“Molte residenze per anziani all’inizio della pandemia erano senza un responsabile medico” dice il Dr. Giuliano Piccoliori e chiarisce: ”Questo ha costituito un problema perché non si trattava di un ruolo solo teorico ma di una posizione importante di grande responsabilità.” La responsabilità medica implicava sempre un certo rischio residuo nonché timori e stress. La comunicazione di raccomandazioni, direttive e provvedimenti dei vari organismi non ha sempre funzionato, molto dai piani alti non è sempre arrivato fino alle figure professionali coinvolte.”
I familiari hanno dimostrato nelle interviste comprensione per la situazione di emergenza, hanno però riferito soprattutto per quanto riguardava il primo periodo della pandemia di un forte senso di impotenza, che è aumentato col peggioramento della situazione come pure con le misure anticontagio sempre meno comprensibili.
„Ognuno provava ad essere più presente con quelle persone quando notavi che loro pian piano si spengono. Allora provavi ad essere la più presente, anche se magari sapevi che non hai così [tanto] tempo a disposizione. Provavi andare, entrare più spesso e essere la. (…) Comunque non era quello che era prima, non erano le cose che facevi prima e tutto.“ (Operatore)
Un’esperienza particolarmente negativa sia per il personale delle residenze che per i familiari è stato il mutato processo di morte e la gestione delle salme, come dice la responsabile dello studio Plagg. “In alcune residenze per anziani è stato impedito ai familiari l’ accesso agli ospiti in punto di morte. Altre residenze non hanno rispettato il divieto di visita adottando comunque le misure di protezione.” I rituali di morte mancanti o cambiati hanno rappresentato per tutte le persone coinvolte una rilevante esperienza di stress emotivo, soprattutto in familiari che non si sono potuti congedare dai loro cari.
Strategie d’azione
“Lo studio ha messo in evidenza molteplici conflitti e questioni che a tutt’oggi non sono state risolti soddisfacentemente per questo un gruppo interdisciplinare di esperti deve discutere le difficoltà descritte” chiede il Presidente dell’Istituto Dr. Adolf Engl. Nel complesso attraverso la collaborazione di personale, ospiti e familiari le residenze per anziani devono essere gestite e organizzate in modo più partecipativo. Nel contempo c’è bisogno di risorse personali sufficienti ed di una retribuzione congrua. “Questo è un dibattito sociale indispensabile che dev’essere condotto a lungo termine” dice la responsabile dello studio Dr.ssa Plagg. A breve termine invece le residenze per anziani devono essere aperte ai familiari e l’accompagnamento di ammalati gravi e terminali da parte dei propri familiari in linea di principio e in ogni caso deve essere garantito. Principi etici fondamentali della cura e dell’assistenza ai pazienti non possono essere messi in discussione, tanto meno in situazioni di emergenza,” conclude la responsabile dello studio.